Lingue madri e dialetti

Per la rivitalizzazione dei dialetti e la tutela della “lingua madre”, beni culturali immateriali dall’immenso (e attualissimo) valore socio-politico

Cosa sono le lingue?

Le lingue sono molto di più di uno strumento di comunicazione.
Sono molto di più di una lista di parole e di regole.

Sono innanzitutto patrimoni di cultura.
A partire anche dalle singole parole, che con i loro componenti sonori e la loro etimologia suggeriscono associazioni logiche e quindi guidano in un certo qual modo il pensiero. Basti pensare ad una parola come “tradurre” che è così vicina a “tradire”, o all’ungherese “ölni” (uccidere) che è assai vicino a “ölelni” (abbracciare), o all’islandese che ha una sola parola (“Þjóð”) per nazione e popolo.

Le lingue sono anche fatti di società, di comunità.
Sono sistemi, dinamici (finchè viventi), di relazioni mentali e sociali, espressione del contributo di centinaia, migliaia di generazioni che nel passato hanno modellato nell’uso tali lingue. Un eterno “lavoro in corso”, al quale anche le generazioni di oggi sono chiamate a far parte.
Per questo carattere di infinito “lavoro culturale collettivo” le lingue sono un grande laboratorio di creatività e spesso sono il principale marcatore delle identità collettive moderne: sono il segno che ci distingue come italiani, tedeschi, francesi, ungheresi, russi, …

 

L’olocausto linguistico degli italiani

Per questo loro grande valore sociale e culturale, è bene quindi che le lingue siano considerate soprattutto come fatti sociali e culturali collettivi.
E da questo punto di vista partiamo per dimostrare l’importanza di mantenere vive le lingue che da un punto di vista socio-culturale (“sociolinguistico” dicono i linguisti, gli addetti ai lavori) vengono dette “dialetti” ma che sono note anche come “lingue ancestrali”, “lingue regionali” o più semplicemente “lingue madri”.

Alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul destino delle “lingue madri”, l’UNESCO – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di difesa e promozione dei beni culturali (compresi quelli “immateriali” come le lingue) – dedica ogni anno la “giornata internazionale della lingua madre”, che cade il 21 febbraio, giorno in cui nel 1952 le autorità pakistane uccisero alcuni studenti bengalesi che a Dhaka chiedevano più diritti per la propria lingua materna.

In Italia, secondo l’Atlante UNESCO delle lingue in pericolo di estinzione (UNESCO Atlas of the World’s Languages in Danger in inglese; consultabile su internet all’indirizzo http://www.unesco.org/languages-atlas/), ci sono 30 lingue a rischio: tra queste il Veneto, il Lombardo, il Piemontese, il Ligure, il Friulano, il Sardo, il Siciliano, il Greco di Calabria, il Greco del Salento, il Provenzale alpino, l’Emiliano, il Romagnolo, il “Sud Italiano”.

Si tratta per lo più di gruppi di dialetti aventi caratteristiche simili e per questo raggruppati sotto l’etichetta “Veneto”, “Lombardo”, analogamente a tutte le varie varietà di italiano regionale (nord-italiano, sud-italiano, toscano, siciliano, napoletano, ecc.) che vanno a concretizzare nel vivo della lingua parlata quello che noi chiamiamo per convenzione “italiano”, una lingua che – inevitabilmente, essendo parlata e usata da milioni di persone – varia (nello spazio e nel tempo) al variare delle esigenze e competenze di chi la usa.

Questi “dialetti” d’Italia che vanno sotto il nome, per esempio, di “Veneto”, “Ligure” (o “Toscano”), sono in pericolo perché il loro spazio di utilizzo è sempre più circoscritto a quegli ambiti che i sociolinguisti definiscono di più “basso prestigio” (oralità e scrittura veloce su apparecchi informatico-telefonici, ambito personale, degli amici, della famiglia, poesia, teatro e letteratura di finzione), sotto la pressione linguistica di quella che i linguisti chiamano “lingua tetto” e che nella lingua quotidiana può anche capitar di sentir chiamare semplicemente “lingua”, opposta ad una idea vaga ma pericolosa di “dialetto” inteso come “specie di lingua senza grammatica inadatta alla scrittura o incapace di esprimere tutto”.

Tale lingua tetto è la lingua di dominio, quella usata nei contesti più ampi geograficamente (nella comunicazione inter-regionale) e sociolinguisticamente più “prestigiosi” (scrittura, scrittura accademica, magari di letteratura scientifica, filosofica).
In Italia la “lingua tetto” è il toscano letterario che nel Rinascimento (epoca in cui nasce il concetto moderno di “dialetto”) si impone come lingua franca di scrittura (accanto al latino) in tutta l’area pan-italiana, grazie al prestigio della letteratura toscana e l’azione di convergenza linguistica operata dal mercato editoriale (a guida soprattutto veneta) e dall’accentramento culturale e religioso operato da organizzazioni quali la Curia pontificia, de facto capitale d’Italia fin dal XVI secolo. Una lingua il cui dominio diventerà assoluto e incontrastabile (nonostante casi di eroica resistenza) con la trasformazione della natura dell’economia del paese da prevalentemente agricola a prevalentemente industriale e terziaria e il conseguente imporsi della cultura consumistica veicolata da mass media sempre più invasivi, quali radio (nata in Italia nel 1925, ma liberalizzata solo nel 1976) e TV, nate in Italia in epoca fascista (rispettivamente nel 1925 e 1939) e rimaste monopolio di Stato fino agli anni ’70 (1976 e 1974 rispettivamente radio e TV).
Sarà infatti “Mamma Rai” (come cantava Renato Zero ancora nel 1982 nella sua canzone “Viva la RAI”), incarnata dalle varie Raffaella Carrà e Mara Venier e accompagnata dai suoi tanti “papà” (da Mike Bongiorno a Pippo Baudo, passando da Renzo Arbore, Piero Angela e Silvio Berlusconi), a “fare gli italiani” anche linguisticamente.

Oggi che gli italiani son “fatti”, il panorama linguistico italiano presenta la tendenza ad avere una minoranza che usa e sa usare l’italiano (quello ufficiale, della “nazione”, della scuola), ed una minoranza che usa e sa usare il “dialetto”, ovvero una lingua nata dallo sviluppo in una certa area geografica del latino (al pari del toscano): il veneto di Venezia, Mestre o Porto Marghera, il Ligure di Genova, il Siciliano di Palermo, il Napoletano, ecc.
Il resto della popolazione si muove tra questi due poli di consapevolezza linguistica con risultati più o meno buoni. A giudicare dai dati sul così detto “analfabetismo funzionale” si direbbe più male che bene: quasi l’80% degli italiani hanno grossi problemi di comprensione e comunicazione linguistica (vedasi questo articolo del 2017 sul drammatico problema: La Stampa, Blog Il villaggio globale, “Il 70% degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)).
Secondo alcuni studiosi questa incapacità comunicativa e linguistica, che sicuramente aiuta a capire anche certe criticità presenti nella vita politica italiana, sarebbe proprio da mettere in relazione con le modalità con cui si è svolto quello che il linguista Pietro Trifone, riferendosi alla progressiva distruzione delle comunità dialettofone d’Italia avvenuta nel XX secolo, ha chiamato «olocausto linguistico degli italiani» (vedi l’articolo: su academia.edu, L’olocausto linguistico degli italiani), riecheggiando il concetto di «genocidio antropologico» usato dal friulano Pier Paolo Pasolini.
Un “olocausto” che è stato presentato in Italia come inevitabile passaggio alla modernità, nonostante sia all’estero (in Norvegia, paese caratterizzato da un livello di varietà linguistica pari a quello dell’Italia e da due lingue scritte, una legge del 1966 dà cittadinanza al dialetto – anche come lingua scritta – nelle scuole dell’obbligo) che in Italia (varie teorie pedagogiche degli anni ’10 e ’20 del ‘900) fosse chiaro come il plurilinguismo favorisca la competenza espressiva e faciliti l’apprendimento di nuove lingue (abilità sempre più moderna, ma tipica delle società antiche e agrarie – vedasi società preindustriali dell’Africa, dell’Asia e dell’America).

 

I costi sociali ed economici dell’olocausto linguistico degli italiani

Un “olocausto” che, per di più, essendo stato compiuto più dai mass-media che dalla scolarizzazione non ha neppure apportato i benefici di una capillare diffusione della lettura e della scrittura di prestigio, che avrebbe aperto il paese ad una generale istruzione tecnica e professionale.
Il risultato è che oggi gli italiani non hanno più la loro solida “identità linguistica” dell’epoca pre-industriale rappresentata dal “dialetto”, ma inoltre non hanno nemmeno ancora acquisito una nuova solida “identità linguistica” italiana. E, questa mancanza, li espone, di più che in altre nazioni, ai venti della globalizzazione, che a livello linguistico coincide con il crescente dominio dell’inglese e che – dati i precedenti – potrebbe assumere la forma di un’adozione passiva, premessa per una nuova ondata di “analfabetismo funzionale”, a tutto vantaggio di una ancor più ridotta élite di dominio.

Il problema ulteriore è dato dal fatto che di questa situazione le persone non hanno coscienza o preferiscono negare l‘evidenza. Convinti di parlare “italiano” (o “dialetto”), molti italiani in realtà parlano un italiano regionale più o meno connotato (al quale potrebbe essere attribuito il nome di “varietà dialettale dell’italiano”), nato dall’incontro/scontro e dal mescolarsi di lingua di Stato e idiomi locali.

È in questa “zona grigia” del panorama linguistico italiano che si vanno a collocare molti nostri connazionali.
Non esistono dati statistici a tal proposito validi per tutti i territori della Repubblica Italiana (i dati sugli usi linguistici degli Italiani dell’ISTAT non sono attendibili, essendo basati sull’autovalutazione dell’intervistato), ma è molto probabile che più della metà dei cittadini italiani rientri in questa “zona grigia”.
Ed è in questa zona grigia dove troviamo molte possibilità per i dialetti di riappropriarsi degli spazi persi, aiutando molti di quegli italiani che sono rimasti impantanati, bloccati nella loro capacità di comunicazione, comprensione ed espressione tra dialetto e lingua nazionale.

È da questa incapacità linguistica funzionale degli italiani che nascono anche le criticità del sistema politico e quindi economico e dei servizi del paese Italia.

 

Benefici della rivitalizzazione dei dialetti per tutta la collettività italiana

Dalla rivitalizzazione dei dialetti grandi sarebbero i benefici per la collettività italiana e il suo progetto politico di nazione.
Come si può pretendere di parlare della Repubblica Italiana come di una democrazia se l’80% degli italiani sono esclusi dalla conoscenza dei fatti, dalla discussione, dal dialogo, che è presupposto di ogni azione di governo condiviso (perché condivisa, fatta propria, da tutti i settori della collettività)?
È con la capacità di trovare e far circolare le informazioni, la condivisione, il dialogo, il confronto che si costruisce una società efficiente.
Solo rafforzando la democrazia si crea sviluppo.
Presupposto di tutto questo è una capacità di comunicazione che sia ampia e solida.

Per garantire agli Italiani una solida base linguistica è necessario rinvigorire i dialetti, promuovendone l’uso di prestigio, a vantaggio di una lingua nazionale italiana che continuerebbe ad arricchirsi dagli apporti del dialetto, senza confondersi con esso e quindi senza alimentare lo stato di perenne incertezza comunicativa dei parlanti/scriventi.

Solo superando la lotta fratricida tra italiano-toscano letterario e dialetti, la lingua degli italiani saprà vincere la sfida della modernità, della globalizzazione, e divenire cardine di un processo di rigenerazione democratica delle comunità locali e della Nazione

 

La rivitalizzazione dei dialetti

Seguendo le indicazioni degli esperti sulla rivitalizzazione delle lingue, la rivitalizzazione dei dialetti passa normalmente dalla promozione di una scrittura in dialetto, sistematica e ordinata secondo modelli di prestigio che storicamente si sono andati formando, a partire dal Napoletano di Napoli, dal Veneto di Venezia, dal Lombardo di Milano e dal Piemontese a base Torinese, idiomi di prestigio già ampiamente usati nei secoli pre 1859/61.

Testo di Maurizo Tani

CC BY-NC-ND 4.0 Lingue madri e dialetti by Paese Cultura is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

Questo sito utilizza i cookie per il proprio funzionamento e per migliorare l'esperienza utente. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. MAGGIORI INFORMAZIONI

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi